di Alex Turrini
e Roberta Montanelli
Assistere una persona non autosufficiente in Italia costa circa 18mila euro l’anno, pur escludendo molte spese sanitarie, come le visite specialistiche e i ricoveri ospedalieri. Le famiglie sono costrette a farsi carico di oltre un terzo di questa cifra, quasi 7mila euro.
Chi paga
L’intervento pubblico e privato, in parte coordinato attraverso l’elaborazione dei piani di zona comunali, introdotti di recente, è in realtà finanziato perlopiù dall’Inps, che eroga circa il 40 per cento delle risorse necessarie, ma che spesso non partecipa alla pianificazione, nemmeno a fini informativi. La programmazione zonale riguarda, così, solo il 20-30 per cento delle risorse effettivamente devolute all’assistenza. (vedi tabella 1)
Tabella 1 Il dettaglio: spesa (in euro) per singolo non autosufficiente
[1° valore, N.d.R.]: Media nei distretti, [2° valore, N.d.R.]: % sul totale
Stato (Inps) € 7.191 - 39,8%
Regione (ASL) € 2.743 - 15,2%
Comuni € 582 - 3,2%
Provincia € 16 - 0,1%
Altro € 43 - 0,2%
Totale pubblico € 10.575 - 58,6%
Non profit € 583 - 3,2%
Famiglie € 6.890 - 38,2%
Totale privato € 7.473 - 41,4%
Totale € 18.048 - 100,0%
Sono questi i principali risultati di uno studio svolto dal Cergas, Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’Università Bocconi in collaborazione con Spi Cgil Lombardia.Tuttavia, i dati sulla spesa sociale e sociosanitaria che emergono dalla ricerca si possono sicuramente generalizzare al territorio nazionale. Permettono dunque alcune riflessioni sulla governance dei sistemi di welfare locale socio-assistenziale.
Soldi, non servizi
Un primo ordine di riflessioni riguarda la composizione della spesa per la non autosufficienza. Dai dati si ricava la necessità di costituire fondi locali, regionali o nazionali che abbiano come obiettivo non solo un incremento di risorse per la non autosufficienza, ma anche un loro governo più razionale: gli interventi dovrebbero essere rivolti al finanziamento di servizi di supporto alle famiglie, più che a incrementare i trasferimenti in denaro. Invece, proprio per il fatto che la maggior parte delle risorse sono assicurate dall’Inps, le politiche sociali sviluppate nei distretti sono incardinate sul trasferimento monetario, e non sull’erogazione di servizi. Ciò comporta fra l’altro, un’estrema indipendenza e autonomia alle famiglie, che possono provvedere al soddisfacimento dei propri bisogni sociali scegliendo liberamente le modalità di assistenza.
Comuni e programmazione
I risultati della ricerca dovrebbero far riflettere anche sulla possibilità di governance degli interventi per la non autosufficienza a livello locale. La forza dei comuni e delle Asl nel presidio della titolarità della funzione sociale e sociosanitaria locale è risibile nell’attuale sistema di welfare. Tale debolezza rimane anche dopo l’introduzione dei piani di zona che pure, in molti casi, hanno agevolato l’armonizzazione delle scelte strategiche di questi due attori. Diversamente da quanto avviene oggi, sembra allora necessario coinvolgere maggiormente l’Inps nei processi di programmazione zonale, al fine di incentivare un’operazione di produzione di informazioni sui diversi utenti che ricevono le prestazioni assistenziali dell’Istituto. Infine, si nota una debolezza del settore nonprofit. Le informazioni raccolte lo descrivono come un produttore responsabile di servizi per i non autosufficienti, se dotato di finanziamenti pubblici. Ma è tuttavia incapace di attrarre finanziamenti da attori terzi. Anche valorizzando il lavoro volontario, la capacità del nonprofit di investire risorse proprie, ottenute ad esempio attraverso l’attività di fund raising da privati, è molto bassa: arriva a un massimo del 5 per cento della spesa effettiva totale. Lo sviluppo di capacità manageriali di fund raising anche in questo settore non sembra più rinviabile.
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