
ARCH/THERAPY
Un gruppo di cubi sparsi e una serie di casette con il tetto a punta. Firmato da Sou Fujimoto, è un centro molto speciale. Qui bambini con handicap psichici o forti disturbi emotivi trovano rifugio temporaneo e cura
di Femke Bijlsma
Se è vero che esiste un nesso tra bellezza e benessere, la maggior parte degli ospedali dovrebbe rivedere gli ambienti in cui svolge le sue attività. Questo concetto, sebbene non ancora avvalorato dall’evidenza scientifica, è stato messo in pratica in Giappone nella realizzazione di un centro per la cura di bambini affetti da autismo e disturbi mentali, ad opera del giovane (classe ’71) architetto Sou Fujimoto. Situato su un’altura della costa sudorientale di Hokkaido, l’elegante complesso offre meravigliose vedute sull’oceano: uno spettacolo che pur non rappresentando in sé una cura, lo rende un luogo ideale per ristabilirsi. Funge da dimora temporanea per una ventina di bambini, che qui vengono per riprendersi nel corpo e nello spirito, per essere aiutati a reinserirsi nella società, o per poter dare alle loro famiglie un momento di distacco-pausa senza traumi. Oltre ai casi più gravi, qui si curano anche bambini vittime di abusi o di episodi di bullismo.
I 25 membri del personale (tre medici, un’infermiera, uno psichiatra, un dietologo, un cuoco e dodici counsellor personali) compongono insieme ai bambini la popolazione del “villaggio” di Fujimoto: ventiquattro edifici bianchi di forma cubica, disseminati sulla collina in modo apparentemente casuale. All’interno sono sistemate le funzioni che richiedono riservatezza (dormire, fare il bagno, lavarsi), stanze di riunione, locali di servizio. Un’altra parte del complesso è riservata alla terapia di gruppo, e consiste in un lungo edificio progettato come una schiera di case bianche con tetti a timpano dalle diverse proporzioni. La palestra occupa un grande “blocco” – sempre bianco - dove le finestre sono disposte a caso. Un anno fa il centro si è aggiudicato il premio per l’architettura emergente, ricevendo una menzione speciale per la sua combinazione di semplicità ed empatia. Come si pone l’architettura di fronte alle sfortunate circostanze di cui sono vittima le persone a cui un edificio è destinato? «Prima di dedicarmi al progetto - spiega Fujimoto - ho visitato numerosi centri di cura e mi sono consultato con degli specialisti in psicologia. Da queste ricerche è emersa una strategia mirata ad alleviare due condizioni comuni nei giovani con disturbi: da un lato il senso di impotenza, talvolta la paranoia, e dall’altro il desiderio di affermare la propria, indipendente personalità.
Ho risposto creando uno “spazio privo di intenzioni”. Non già stanze ma “luoghi in cui essere”, puntando sulla funzione informale e non predefinita dello spazio. L’esatto contrario del funzionalismo», dichiara. Lo spazio privi di intenzioni è aperto all’interpretazione personale di chi lo occupa e per questo non è mai opprimente. «Lo si può paragonare allo “spazio privo di intenzioni” che esiste in natura», prosegue Fujimoto. «In cui un sistema, proprio come succede in natura, è definito dalla relazione tra le sue diverse componenti. Le “scatole” cubiche da 5,4 metri sono disseminate sulla collina dando un effetto di varietà spaziale. Sono disposte in modo irregolare, con vari gradi di separazione e comunicazione rispetto alla sfera pubblica. Permettono ai bambini di sintonizzare per intuito il loro senso della distanza. La presenza di “alcove” e di altre aree semiprivate permette loro di occupare un proprio palcoscenico, di trovare un centro all’interno dello spazio comune. Questo senso di “ambiguità utile” si estende al tutto il progetto». Ma il complesso è una grande casa o una piccola città? In definitiva ciò che prevale è l’intimità di un unico edificio o la varietà dell’insieme? «Per i residenti che lo occupano, il complesso è ciòche vogliono - o che hanno bisogno - che sia. Qui possono trovare spazi dai volumi ampi, pieni di luce naturale filtrata, e molte opportunità di “silenzio” privato». La precisa disposizione delle funzioni e dei blocchi, ciascuno aperto a più possibilità, conferisce unità a un progetto architettonico artificiale.
«L’idea mi è venuta guardando bambini con disagi psichici mentre giocavano assemblando dei contenitori», commenta Fujimoto. Grazie alla forte qualità iconica del progetto, i mezzi di comunicazione ne hanno dato ampio spazio, generando un dibattito sul ruolo dell’architettura nella cura dei malati. Proprio nel suo interno lo scorso ottobre la Tohoku University ha organizzato un convegno sul futuro dei centri di cura per bambini con disturbi emotivi, considerato da un punto di vista spaziale. Gli scienziati, almeno in Giappone, hanno iniziato a vedere il nesso.
IL FUTURO
È UNA FARM
ITALIANA
È UNA FARM
ITALIANA
di Iaia Caputo
Un luogo privo di muri e di reti. Aperto sul paesaggio, circondato dalla campagna. Che è tuttavia un riparo: dal traffico, dai rumori eccessivi, dalla folla delle città. Da tutto quello che spaventa fino a terrorizzare chi soffre di autismo, uno degli handicap ancora meno conosciuti ma assai diffuso (circa 60mila casi in Italia). Un handicap che dura tutta la vita e che, senza adeguati sostegni, condanna le famiglie a un doloroso isolamento. È proprio dalla capacità di uscire dalla solitudine, di mettere insieme esperienze e solidarietà che è nata nel 2002, a San Ponzo Semola, nel Pavese, Cascina Rossago.
Su progetto della Fondazione Genitori per l’autismo, in collaborazione con l’università di Pavia, è la prima Farm community italiana. La ex azienda agricola, divisa in tre unità residenziali semindipendenti (ciascuna di 8 posti), ospita 24 adulti con autismo: un’esperienza pilota che ha visto la luce dopo il confronto con diverse farm-communities di Stati Uniti, Germania, Francia e Spagna, è diretta dalla psichiatra Stefania Ucelli di Nemi.
Su progetto della Fondazione Genitori per l’autismo, in collaborazione con l’università di Pavia, è la prima Farm community italiana. La ex azienda agricola, divisa in tre unità residenziali semindipendenti (ciascuna di 8 posti), ospita 24 adulti con autismo: un’esperienza pilota che ha visto la luce dopo il confronto con diverse farm-communities di Stati Uniti, Germania, Francia e Spagna, è diretta dalla psichiatra Stefania Ucelli di Nemi.
Prima dell’apertura di Cascina Rossago, lei ha visitato altre strutture residenziali per autistici adulti, che cosa l’ha convinta del modello delle Farm community?
«Anche se non tutte residenziali, sono comunque situate in campagna, vicino a piccoli centri urbani, e danno la possibilità costante di connessione tra la cura delle abilità e un progetto di vita tarato sulle caratteristiche dell’autismo. Il contesto agricolo, a differenza di quello cittadino che è fonte continua di iperstimolazione, stress, confusione e ulteriore isolamento, è per sua natura più stabile, semplice, ricco di situazioni e stimoli significativi. Dunque, abbiamo pensato a una struttura omogenea al luogo: alcuni approcci all’autismo sottolineano l’importanza di ambienti neutri, noi abbiamo invece privilegiato la tranquillità, il fatto che trasmettesse accoglienza e apertura. Così, le pareti esterne delle tre case sono colorate di arancio, rosa e giallo; abbiamo messo grandi vetrate dalle quali godere del paesaggio e che inondassero di luce gli interni; infine, progettato ambienti ampi per favorire la qualità della vita».
«Anche se non tutte residenziali, sono comunque situate in campagna, vicino a piccoli centri urbani, e danno la possibilità costante di connessione tra la cura delle abilità e un progetto di vita tarato sulle caratteristiche dell’autismo. Il contesto agricolo, a differenza di quello cittadino che è fonte continua di iperstimolazione, stress, confusione e ulteriore isolamento, è per sua natura più stabile, semplice, ricco di situazioni e stimoli significativi. Dunque, abbiamo pensato a una struttura omogenea al luogo: alcuni approcci all’autismo sottolineano l’importanza di ambienti neutri, noi abbiamo invece privilegiato la tranquillità, il fatto che trasmettesse accoglienza e apertura. Così, le pareti esterne delle tre case sono colorate di arancio, rosa e giallo; abbiamo messo grandi vetrate dalle quali godere del paesaggio e che inondassero di luce gli interni; infine, progettato ambienti ampi per favorire la qualità della vita».
Dunque, un contesto stabile e semplice. D’altra parte, le persone affette da autismo hanno un enorme bisogno di stabilità, riti, certezze nel ripetersi di gesti e avvenimenti della giornata.
«Sì, il bello, la tranquillità, una certa prevedibilità nel ripetersi dei cicli della natura e del contesto che costruiamo intorno diventa un’importante possibilità di integrazione, attuata e attivata nella pratica più concreta. Dal lavoro agricolo, che ha un posto centrale, e si organizza in piccoli progetti adatti ai residenti, all’allevamento di animali, e poi nel giardinaggio e nell’orticoltura e, quando è la stagione, nella raccolta della frutta. Sono attività semplici, lineari, concrete, delle quali i nostri ospiti comprendono facilmente il significato e le dinamiche. Ma abbiamo anche galline, capre alpaca: curandole la persona con autismo capisce cosa significhi assumersi responsabilità, anche se piccole, e il rapporto con gli animali aiuta tantissimo la relazione, diventa un primo passo verso il proprio simile, la possibilità di uscire dall’egocentratura dell’autismo.
Però non tutti fanno tutto: c’è un progetto individuale misurato sulle propensioni e le capacità di ciascuno: c’è chi si dedica alla falegnameria e chi invece è stalliere. Solo alcune attività sono comuni, come la musica: abbiamo un’intera orchestra, curata da psichiatri musicisti, volontari. Fondamentalmente jazz, perché viene considerato un buon contenitore, una forma che tiene».
«Sì, il bello, la tranquillità, una certa prevedibilità nel ripetersi dei cicli della natura e del contesto che costruiamo intorno diventa un’importante possibilità di integrazione, attuata e attivata nella pratica più concreta. Dal lavoro agricolo, che ha un posto centrale, e si organizza in piccoli progetti adatti ai residenti, all’allevamento di animali, e poi nel giardinaggio e nell’orticoltura e, quando è la stagione, nella raccolta della frutta. Sono attività semplici, lineari, concrete, delle quali i nostri ospiti comprendono facilmente il significato e le dinamiche. Ma abbiamo anche galline, capre alpaca: curandole la persona con autismo capisce cosa significhi assumersi responsabilità, anche se piccole, e il rapporto con gli animali aiuta tantissimo la relazione, diventa un primo passo verso il proprio simile, la possibilità di uscire dall’egocentratura dell’autismo.
Però non tutti fanno tutto: c’è un progetto individuale misurato sulle propensioni e le capacità di ciascuno: c’è chi si dedica alla falegnameria e chi invece è stalliere. Solo alcune attività sono comuni, come la musica: abbiamo un’intera orchestra, curata da psichiatri musicisti, volontari. Fondamentalmente jazz, perché viene considerato un buon contenitore, una forma che tiene».
La farm di Rossago punta quindi all’autonomia, al rapporto con l’esterno: ma com’è possibile per queste persone che lasciano la famiglia non sentirsi sradicate, strappate agli affetti?
«Intanto, noi siamo una fondazione di genitori e con i genitori lavoriamo fianco a fianco, in un confronto continuo, inoltre la nostra proposta è di sostenere le persone autistiche in un percorso verso una nuova realtà di vita, quindi non parlerei di sradicamento o di separazione, ma di una crescita graduale, sia dell’ospite che dei suoi familiari, verso la massima autonomia possibile».
«Intanto, noi siamo una fondazione di genitori e con i genitori lavoriamo fianco a fianco, in un confronto continuo, inoltre la nostra proposta è di sostenere le persone autistiche in un percorso verso una nuova realtà di vita, quindi non parlerei di sradicamento o di separazione, ma di una crescita graduale, sia dell’ospite che dei suoi familiari, verso la massima autonomia possibile».
Come si coniuga la vocazione alla libertà di Cascina Rossago e la necessità di controllo?
«Ma qui non esistono né muri né reti, il luogo è totalmente aperto. La nostra farm viene individuata come la propria casa e quindi direi che la dimensione del controllo è veramente scarsa, parlerei piuttosto di guida in un percorso: per fare cose che altrimenti non riuscirebbero a fare. La filosofia delle farm community è di essere un punto di partenza per poi uscire, indirizzata all’integrazione con l’esterno, finalizzata, nei limiti della storia di ciascuno chiaramente, all’uscita. Ho visitato esperienze simili alla nostra all’estero, e dopo dieci anni di permanenza persone autistiche vivevano da sole in appartamento! Certo, l’autonomia è un grande obiettivo e per alcuni è davvero difficile da raggiungere, ma la difficoltà più grande resta quella della socializzazione: il nucleo dell’autismo sta proprio nell’isolamento, in quello steccato immaginario che li separa dal mondo e rende le relazioni non solo difficili ma spaventose e angoscianti.
Tuttavia nella nostra esperienza stiamo ottenendo risultati interessanti, anche da questo punto di vista».
«Ma qui non esistono né muri né reti, il luogo è totalmente aperto. La nostra farm viene individuata come la propria casa e quindi direi che la dimensione del controllo è veramente scarsa, parlerei piuttosto di guida in un percorso: per fare cose che altrimenti non riuscirebbero a fare. La filosofia delle farm community è di essere un punto di partenza per poi uscire, indirizzata all’integrazione con l’esterno, finalizzata, nei limiti della storia di ciascuno chiaramente, all’uscita. Ho visitato esperienze simili alla nostra all’estero, e dopo dieci anni di permanenza persone autistiche vivevano da sole in appartamento! Certo, l’autonomia è un grande obiettivo e per alcuni è davvero difficile da raggiungere, ma la difficoltà più grande resta quella della socializzazione: il nucleo dell’autismo sta proprio nell’isolamento, in quello steccato immaginario che li separa dal mondo e rende le relazioni non solo difficili ma spaventose e angoscianti.
Tuttavia nella nostra esperienza stiamo ottenendo risultati interessanti, anche da questo punto di vista».
Repubblica delle Donne (22 dicembre 2007)
Nessun commento:
Posta un commento