Ieri, durante un mio viaggio in treno, ho letto questo articolo su Il Sole-24 Ore (ho trovato posto solo in 1a classe e qua ti regalano i quotidiani appunto, il caffè o altre bibite a scelta, i salatini o i biscotti dolci ... insomma una pacchia ... salvo il fatto che poi il tavolino è scassato, chiedi se c'è una presa elettrica vicina e ti dicono che forse sì ma che non tutte funzionano alcune sì altre no, la voce che indica le fermate proprio sul più bello si interrompe e l'altoparlante comincia a gracchiare, così oltre a non sapere in che stazione stai entrando - io lo so, ormai le conosco a memoria - ti distrugge i timpani (se fino a quel punto avevano resistito alle suonerie dei cellulari dei simpatici compagni di viaggio), sulle condizioni della toilette sorvolo. Però ho fatto un buon viaggio, in 1a classe..). Scusate la divagazione.
Leggendo l'articolo ho ripensato ad alcune nostre discussioni nel corso di alcune lezioni del master, in cui si parlava appunto di biotecnologie e ogm e così ho pensato di inserirlo sul blog. ag
Leggendo l'articolo ho ripensato ad alcune nostre discussioni nel corso di alcune lezioni del master, in cui si parlava appunto di biotecnologie e ogm e così ho pensato di inserirlo sul blog. ag
Reportage dal Punjab. Molti coltivatori di cotone hanno inseguito il sogno delle sementi transgeniche, perdendo tutto.
Si uccidono quando, sommersi dai debiti, sono costretti a vendere la terra
Damiano Beltrami
BATHINDA (PUNJAB)
Ricorda perfettamente il suo primo incontro con l'uomo che gli promise di diventare milionario. Era uno dei proprietari terrieri più rispettati del villaggio. Sulla soglia della sua catapecchia di fango gli assicurò: “Sono semi miracolosi; dopo il raccolto potrai permetterti un trattore nuovo, sari di seta pregiata per tua moglie e vestiti per i bambini”.
Bhagwan Singh, 42 anni, coltivatore di cotone del villaggio indiano di Gobindpura Jawaharwala nello Stato del Punjab, ci crede: quei semi geneticamente modificati dal nome affascinante, Bt cotton, gli cambieranno la vita, garantendo un raccolto tre volte superiore a quello dei semi organici (pari a circa 250 chili di cotone per acro), maggiori ricavi, e la possibilità di ampliare la sua piccola proprietà. Così, visto che le nuove sementi costano il doppio di quelle tradizionali, richiede un prestito di 40mila rupie (694 euro). Prestito che si affretta a concedere lo stesso proprietario terriero, noto prestatore di denaro.
Per Singh cominciano i guai. L’uomo che lo aveva ammaliato – un arhtiyas, l’agente di una piccola impresa locale che fa capo alla multinazionale Monsanto – non gli aveva spiegato che i semi transgenici richiedono più fertilizzanti, più pesticidi e maggiore irrigazione di quelli tradizionali. E non gli aveva neppure detto che la spesa di produzione sarebbe raddoppiata.
Il primo raccolto di Singh è fallimentare: 50 chili di cotone ad acro, un quinto della resa precedente. Per lui i semi Bt cotton non fanno miracoli. Anche perché gli mancano i quattrini per comprare i costosi concimi chimici. Ma la peggior sorpresa deve ancora arrivare. A differenza di quanto fa da sempre, ricavare cioè le nuove sementi dal raccolto, i semi geneticamente modificati sono predisposti per essere usati una volta sola. Non potendo più nemmeno utilizzare i vecchi semi organici, di cui l’agente gli aveva consigliato di disfarsi, non gli è rimasta che l’opzione di acquistare nuove semenze transgeniche. E indebitarsi ulteriormente.
I successivi raccolti non sono confrotanti. Insetti e piogge vanificano il lavoro di Bhagwan. Che è costretto a vendere la sua proprietà metro quadro dopo metro quadro, finché rimane con un solo acro di terra. “Non riuscivo più a mantenere la mia famiglia – racconta – ed ero strozzato dal debito di 100mila rupie (1736 euro). Così ho pensato di farla finita”. Adottando un metodo collaudato, Bhagwan il 4 luglio scorso ingerisce monocrotophos, un pesticida.
A differenza di molti altri contadini prima di lui, non muore. E a distanza di quattro mesi da quel gesto è convinto che gli dei, risparmiandogli la vita, siano stati crudeli. Gli è rimasto solo uno scampolo di terreno. E tirando a campare con 3000 rupie (52 euro) al mese, ripagare al signore dei semi 35mila rupie (607 euro) e un interesse mensile del 5% è quasi impossibile. Senza contare le medicine per la moglie malata e tre figli da sfamare. Che fare? Due le alternative: lavorare sotto padrone per una paga subumana, o trasferirsi a Delhi e lasciarsi inghiottire dalle baraccopoli. “Anche perché – sottolinea – non me la sento di vendere una parte del mio corpo, per esempio un rene, per rimediare 50mila rupie (860 euro) come hanno fatto miei colleghi”.
Sangrur, il distretto di cui il villaggio di Bhagwan Singh fa parte, è soprannominato capitale dei suicidi: 210 negli ultimi tre anni, 1046 negli ultimi dieci su una popolazione rurale di 1.415.000 abitanti. Per accorgersi di quante persone siano coinvolte dal fenomeno basta partecipare ad un’assemblea pubblica come quella del villaggio di Gurdwara Haaji Rattan, dove il 7 settembre scorso si sono radunate centinaia di madri e vedove dei contadini suicidi avvolte in candidi sari.
La massa di vedove in bianco, il colore del lutto, rappresenta solo un frammento di questo universo, parallelo all’India scintillante del boom economico. Dal 1997 in tutto il Paese i suicidi per debiti, povertà e carestie sarebbero infatti oltre 10mila stando alle prudenti stime governative, almeno il quadruplo secondo istituti di ricerca indipendenti. Ma queste donne punjabi che maledicono i “semi dei miracoli” sono emblematiche: proprio il loro Stato, il Punjab, la fertile terra dei cinque fiumi, negli anni 70 è stato il laboratorio della Green Revolution, l’aumento di produzione agricola reso praticabile grazie ai nuovi ritrovati in campo genetico.
Vandana Shiva, ambientalista, fondatrice della Research Foundation for Science, Technology and Ecology, scuote la testa: “Altro che chiave di volta del benessere, la Green Revolution ha prodotto un suolo impoverito, raccolti saccheggiati dagli insetti, contadini indebitati. Non solo in Punjab, ma in tutto il Paese”.
La crisi si trascina da anni. Tre lustri di riforme economiche hanno spalancato le porte a mercato globale e biotecnologie. Ma non sono stati introdotti prestiti bancari convenienti, assicurazioni contro pioggia, insetti e parassiti delle colture, nuove infrastrutture d’irrigazione e prezzi di vendita più elevati. Inoltre mancano misure che possano arginare il dumping americano: Washington ogni anno stanzia 18 miliardi di dollari per sostenere i suoi agricoltori, facendo così scendere il prezzo del cotone indiano sul mercato globale.
La ricetta del premier indiano Manmohan Singh per curare la disfunzione tra costi di produzione crescenti e prezzi in calo è aumentare il credito rurale facilitando così l’acquisto di semi trasgenici, azzerare gli interessi sui prestiti bancari, combattere l’usura e adottare misure d’emergenza per le regioni più in crisi.
Ma per Vandana Shiva, e uno stuolo di altre organizzazioni e attivisti meno noti, questa formula non può funzionare : “Non fa altro che oliare l’ingranaggio del debito. La via d’uscita è fermare immediatamente il meccanismo abbassando i costi di produzione con sussidi statali, un tempo il perno delle politiche agricole indiane. Poi bisogna ripartire con l’agricoltura ecologica, con i bistrattati semi organici. Quelli che non fanno miracoli, ma non uccidono”.
I NUMERI
2.860
I suicidi nel Punjab
I contadini che si sono tolti la vita dal 1997 a oggi nei distretti dello Stato del Punjab, la cosiddetta "fascia del cotone", sono 2.860. Nella sola regione del Sangrur sono 1.046
73%
Gli agricoltori
Oltre due terzi della popolazione indiana lavorano nel settore primario, ma l'agricoltura concorre solo per il 25% alla formazione del pil del Paese
49%
I coltivatori indebitati
Quasi la metà dei contadini indiani ha contratto debiti. Gli Stati che fanno registrare le percentuali più alte sono Karnataka, Andhra Pradesh, Maharashtra, Kerala e Punjab
29%
Vittime di usurai
Quasi un terzo degli agricoltori che richiedono prestiti li ottengono da prestatori di denaro privati, che impongono interessi anche superiori al 5% mensile
800 milioni di euro
Il pacchetto di aiuti
Il Governo ha deciso di stanziare 800milioni di euro per combattere l'emergenza suicidi nello Stato centrale del Maharashtra, in particolare nel distretto del Vidarbha, il più colpito dal fenomeno con oltre 750 morti negli ultimi 14 mesi
Per saperne di più sul distretto di Sangrur
www.sangrur.nic.in
Damiano Beltrami
BATHINDA (PUNJAB)
Ricorda perfettamente il suo primo incontro con l'uomo che gli promise di diventare milionario. Era uno dei proprietari terrieri più rispettati del villaggio. Sulla soglia della sua catapecchia di fango gli assicurò: “Sono semi miracolosi; dopo il raccolto potrai permetterti un trattore nuovo, sari di seta pregiata per tua moglie e vestiti per i bambini”.
Bhagwan Singh, 42 anni, coltivatore di cotone del villaggio indiano di Gobindpura Jawaharwala nello Stato del Punjab, ci crede: quei semi geneticamente modificati dal nome affascinante, Bt cotton, gli cambieranno la vita, garantendo un raccolto tre volte superiore a quello dei semi organici (pari a circa 250 chili di cotone per acro), maggiori ricavi, e la possibilità di ampliare la sua piccola proprietà. Così, visto che le nuove sementi costano il doppio di quelle tradizionali, richiede un prestito di 40mila rupie (694 euro). Prestito che si affretta a concedere lo stesso proprietario terriero, noto prestatore di denaro.
Per Singh cominciano i guai. L’uomo che lo aveva ammaliato – un arhtiyas, l’agente di una piccola impresa locale che fa capo alla multinazionale Monsanto – non gli aveva spiegato che i semi transgenici richiedono più fertilizzanti, più pesticidi e maggiore irrigazione di quelli tradizionali. E non gli aveva neppure detto che la spesa di produzione sarebbe raddoppiata.
Il primo raccolto di Singh è fallimentare: 50 chili di cotone ad acro, un quinto della resa precedente. Per lui i semi Bt cotton non fanno miracoli. Anche perché gli mancano i quattrini per comprare i costosi concimi chimici. Ma la peggior sorpresa deve ancora arrivare. A differenza di quanto fa da sempre, ricavare cioè le nuove sementi dal raccolto, i semi geneticamente modificati sono predisposti per essere usati una volta sola. Non potendo più nemmeno utilizzare i vecchi semi organici, di cui l’agente gli aveva consigliato di disfarsi, non gli è rimasta che l’opzione di acquistare nuove semenze transgeniche. E indebitarsi ulteriormente.
I successivi raccolti non sono confrotanti. Insetti e piogge vanificano il lavoro di Bhagwan. Che è costretto a vendere la sua proprietà metro quadro dopo metro quadro, finché rimane con un solo acro di terra. “Non riuscivo più a mantenere la mia famiglia – racconta – ed ero strozzato dal debito di 100mila rupie (1736 euro). Così ho pensato di farla finita”. Adottando un metodo collaudato, Bhagwan il 4 luglio scorso ingerisce monocrotophos, un pesticida.
A differenza di molti altri contadini prima di lui, non muore. E a distanza di quattro mesi da quel gesto è convinto che gli dei, risparmiandogli la vita, siano stati crudeli. Gli è rimasto solo uno scampolo di terreno. E tirando a campare con 3000 rupie (52 euro) al mese, ripagare al signore dei semi 35mila rupie (607 euro) e un interesse mensile del 5% è quasi impossibile. Senza contare le medicine per la moglie malata e tre figli da sfamare. Che fare? Due le alternative: lavorare sotto padrone per una paga subumana, o trasferirsi a Delhi e lasciarsi inghiottire dalle baraccopoli. “Anche perché – sottolinea – non me la sento di vendere una parte del mio corpo, per esempio un rene, per rimediare 50mila rupie (860 euro) come hanno fatto miei colleghi”.
Sangrur, il distretto di cui il villaggio di Bhagwan Singh fa parte, è soprannominato capitale dei suicidi: 210 negli ultimi tre anni, 1046 negli ultimi dieci su una popolazione rurale di 1.415.000 abitanti. Per accorgersi di quante persone siano coinvolte dal fenomeno basta partecipare ad un’assemblea pubblica come quella del villaggio di Gurdwara Haaji Rattan, dove il 7 settembre scorso si sono radunate centinaia di madri e vedove dei contadini suicidi avvolte in candidi sari.
La massa di vedove in bianco, il colore del lutto, rappresenta solo un frammento di questo universo, parallelo all’India scintillante del boom economico. Dal 1997 in tutto il Paese i suicidi per debiti, povertà e carestie sarebbero infatti oltre 10mila stando alle prudenti stime governative, almeno il quadruplo secondo istituti di ricerca indipendenti. Ma queste donne punjabi che maledicono i “semi dei miracoli” sono emblematiche: proprio il loro Stato, il Punjab, la fertile terra dei cinque fiumi, negli anni 70 è stato il laboratorio della Green Revolution, l’aumento di produzione agricola reso praticabile grazie ai nuovi ritrovati in campo genetico.
Vandana Shiva, ambientalista, fondatrice della Research Foundation for Science, Technology and Ecology, scuote la testa: “Altro che chiave di volta del benessere, la Green Revolution ha prodotto un suolo impoverito, raccolti saccheggiati dagli insetti, contadini indebitati. Non solo in Punjab, ma in tutto il Paese”.
La crisi si trascina da anni. Tre lustri di riforme economiche hanno spalancato le porte a mercato globale e biotecnologie. Ma non sono stati introdotti prestiti bancari convenienti, assicurazioni contro pioggia, insetti e parassiti delle colture, nuove infrastrutture d’irrigazione e prezzi di vendita più elevati. Inoltre mancano misure che possano arginare il dumping americano: Washington ogni anno stanzia 18 miliardi di dollari per sostenere i suoi agricoltori, facendo così scendere il prezzo del cotone indiano sul mercato globale.
La ricetta del premier indiano Manmohan Singh per curare la disfunzione tra costi di produzione crescenti e prezzi in calo è aumentare il credito rurale facilitando così l’acquisto di semi trasgenici, azzerare gli interessi sui prestiti bancari, combattere l’usura e adottare misure d’emergenza per le regioni più in crisi.
Ma per Vandana Shiva, e uno stuolo di altre organizzazioni e attivisti meno noti, questa formula non può funzionare : “Non fa altro che oliare l’ingranaggio del debito. La via d’uscita è fermare immediatamente il meccanismo abbassando i costi di produzione con sussidi statali, un tempo il perno delle politiche agricole indiane. Poi bisogna ripartire con l’agricoltura ecologica, con i bistrattati semi organici. Quelli che non fanno miracoli, ma non uccidono”.
I NUMERI
2.860
I suicidi nel Punjab
I contadini che si sono tolti la vita dal 1997 a oggi nei distretti dello Stato del Punjab, la cosiddetta "fascia del cotone", sono 2.860. Nella sola regione del Sangrur sono 1.046
73%
Gli agricoltori
Oltre due terzi della popolazione indiana lavorano nel settore primario, ma l'agricoltura concorre solo per il 25% alla formazione del pil del Paese
49%
I coltivatori indebitati
Quasi la metà dei contadini indiani ha contratto debiti. Gli Stati che fanno registrare le percentuali più alte sono Karnataka, Andhra Pradesh, Maharashtra, Kerala e Punjab
29%
Vittime di usurai
Quasi un terzo degli agricoltori che richiedono prestiti li ottengono da prestatori di denaro privati, che impongono interessi anche superiori al 5% mensile
800 milioni di euro
Il pacchetto di aiuti
Il Governo ha deciso di stanziare 800milioni di euro per combattere l'emergenza suicidi nello Stato centrale del Maharashtra, in particolare nel distretto del Vidarbha, il più colpito dal fenomeno con oltre 750 morti negli ultimi 14 mesi
Per saperne di più sul distretto di Sangrur
www.sangrur.nic.in
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