Carissimi lombrichi e lettori,vorrei condividere con voi queste impressioni che ho raccolto in questo breve racconto sul Carcere della Gorgona, che ho avuto modo di visitare qualche settimana fa.
Sono ben accetti commenti, critiche, consigli di chiunque abbia voglia di partecipare a questa discussione.
Agropolis è una Cooperativa di Servizi per l'Agricoltura che opera in Toscana , precisamenete a Livorno, Pisa e dintorni.
Si occupa di Agricoltura Sociale, Educazione Ambientale e offre servizi di svariato genere ad aziende viti-vinicole e olivicole.
Se avete 5 minuti di tempo siete invitati a dare un'occhiata!!
Un saluto a tutti e buona lettura !!
L’ISOLA CHE NON C’E’
Mi capita un giorno di andare in Gorgona, l’isola penitenziario che vedo tutti i giorni dalla finestra di casa mia. E’ a 37 chilometri dalla mia città: Livorno.
Quest’ isola è talmente fusa nel panorama del lungomare labronico, che per i livornesi sembra non esistere più. Il suo profilo, che si staglia netto nei rossi tramonti, è ormai parte integrante della veduta; nessuno si chiede cosa esattamente avviene li dentro e purtroppo, quest’ isola oggi è diventata invisibile per tutti.
Perché nessuno va in Gorgona, nessuno ci vuole andare, pochissimi ci sono stati; perché è un carcere. E solo i detenuti ci vanno.
Il carcere risale al 1869 e la colonia dei pescatori che per anni ha convissuto con i carcerati e con la polizia penitenziaria si è ormai quasi estinta. Gli unici abitanti dell’isola sono i 60 detenuti e i circa 50 agenti di polizia penitenziaria che si alternano in lunghi turni di 4 giorni.
Ma quando uno ci arriva in Gorgona rimane sbalordito; il colore dell’acqua nel porticciolo, che ricorda la Sardegna, la vegetazione che ricopre tutta l’isola di un verde scuro e intenso, le suggestive insenature e le piccole baie come la Costa dei Gabbiani o Cala Scirocco, dove si creano giochi di luce e d’ombra che con il contrasto del mare potrebbero sembrare un quadro di Fattori.
Ma siamo in un carcere e ad attenderci ci sono gli agenti e con loro non si scherza: immediatamente consegniamo documenti e cellulari. Si capisce al volo che noi civili non abbiamo niente a che fare con la loro isola.
Sono in Gorgona con il Dott. Marco Verdone, veterinario omeopata dell’isola, sono a visitare l’isola per creare una collaborazione, per cercare di valorizzare insieme questo piccolo pezzo di terra incontaminato grazie a qualche idea che ci sta girando in testa per realizzare un progetto di Agricoltura Sociale.
Marco da le direttive su come gestire e curare le vacche, i maiali, le pecore e le capre.
In Gorgona si usano metodi omeopatici per curare gli animali, questo consente di avere un notevole risparmio economico e i detenuti imparano nozioni e pratiche che potrebbero, una volta terminata la detenzione, spendere in contesti lavorativi “convenzionali”.
Marco ha il rispetto di tutti i detenuti, tutti lo salutano con grossi sorrisi, conosce tutti gli agenti. Lavora in Gorgona dal 1989 Marco; ne ha viste di cose e ne ha tante da raccontare.
Conosce tutte le vacche una per una, conosce le loro storie, le loro malattie, le sofferenze che hanno provato, già, perché l’”Agricola” (il nome della fattoria dell’isola) è un’azienda molto difficile da gestire. E i motivi sono molti.
Sull’isola arriva un traghetto 2 volte a settimana. Per portare invece materiali di consumo come fieno, sementi, concimi, mezzi vari, cemento, viene usata una chiatta, “l’Urgon”, ma se il mare dice di no, nessuno parte e nessuno arriva, e può capitare anche che le vacche rimangano digiune per giorni.
Questo isolamento cosi marcato rende tutto più difficile, non essendoci civili sull’isola (tranne la Signora Luisa, unica nativa e residente della Gorgona), tutti i vari mestieri (elettricisti, idraulici, meccanici, muratori, imbianchini, fornai, macellai) vengono eseguiti dai detenuti coordinati dagli agenti.
Lavorano spesso insieme “guardie e ladri”, arrangiandosi e mettendo in gioco le proprie esperienze personali per risolvere i problemi più disparati.
Perché se per esempio si rompe un gruppo elettrogeno in Gorgona non c’è corrente, e questa diventa (giustamente) una priorità, non importa se quel giorno c’era da controllare le api o da curare una vacca, non si può stare senza corrente.
E cosi capita che la tettoia per il ricovero degli animali venga lasciata da una parte e passa un anno prima di essere montata, nel frattempo però le vacche hanno passato anni alle intemperie, hanno resistito alle libecciate che spazzano via ogni cosa, a piogge che rendono tutto un grande pantano; eppure oggi le vedo qui al pascolo, sane ed in carne, tranquille e beate, che ruminano o sonnecchiano, sarà questo panorama mozzafiato o questo silenzio cosi raro da trovare, penso fra me e me.
Ma ci sono anche brutte storie da raccontare in Gorgona.
Mi capita un giorno di andare in Gorgona, l’isola penitenziario che vedo tutti i giorni dalla finestra di casa mia. E’ a 37 chilometri dalla mia città: Livorno.
Quest’ isola è talmente fusa nel panorama del lungomare labronico, che per i livornesi sembra non esistere più. Il suo profilo, che si staglia netto nei rossi tramonti, è ormai parte integrante della veduta; nessuno si chiede cosa esattamente avviene li dentro e purtroppo, quest’ isola oggi è diventata invisibile per tutti.
Perché nessuno va in Gorgona, nessuno ci vuole andare, pochissimi ci sono stati; perché è un carcere. E solo i detenuti ci vanno.
Il carcere risale al 1869 e la colonia dei pescatori che per anni ha convissuto con i carcerati e con la polizia penitenziaria si è ormai quasi estinta. Gli unici abitanti dell’isola sono i 60 detenuti e i circa 50 agenti di polizia penitenziaria che si alternano in lunghi turni di 4 giorni.
Ma quando uno ci arriva in Gorgona rimane sbalordito; il colore dell’acqua nel porticciolo, che ricorda la Sardegna, la vegetazione che ricopre tutta l’isola di un verde scuro e intenso, le suggestive insenature e le piccole baie come la Costa dei Gabbiani o Cala Scirocco, dove si creano giochi di luce e d’ombra che con il contrasto del mare potrebbero sembrare un quadro di Fattori.
Ma siamo in un carcere e ad attenderci ci sono gli agenti e con loro non si scherza: immediatamente consegniamo documenti e cellulari. Si capisce al volo che noi civili non abbiamo niente a che fare con la loro isola.
Sono in Gorgona con il Dott. Marco Verdone, veterinario omeopata dell’isola, sono a visitare l’isola per creare una collaborazione, per cercare di valorizzare insieme questo piccolo pezzo di terra incontaminato grazie a qualche idea che ci sta girando in testa per realizzare un progetto di Agricoltura Sociale.
Marco da le direttive su come gestire e curare le vacche, i maiali, le pecore e le capre.
In Gorgona si usano metodi omeopatici per curare gli animali, questo consente di avere un notevole risparmio economico e i detenuti imparano nozioni e pratiche che potrebbero, una volta terminata la detenzione, spendere in contesti lavorativi “convenzionali”.
Marco ha il rispetto di tutti i detenuti, tutti lo salutano con grossi sorrisi, conosce tutti gli agenti. Lavora in Gorgona dal 1989 Marco; ne ha viste di cose e ne ha tante da raccontare.
Conosce tutte le vacche una per una, conosce le loro storie, le loro malattie, le sofferenze che hanno provato, già, perché l’”Agricola” (il nome della fattoria dell’isola) è un’azienda molto difficile da gestire. E i motivi sono molti.
Sull’isola arriva un traghetto 2 volte a settimana. Per portare invece materiali di consumo come fieno, sementi, concimi, mezzi vari, cemento, viene usata una chiatta, “l’Urgon”, ma se il mare dice di no, nessuno parte e nessuno arriva, e può capitare anche che le vacche rimangano digiune per giorni.
Questo isolamento cosi marcato rende tutto più difficile, non essendoci civili sull’isola (tranne la Signora Luisa, unica nativa e residente della Gorgona), tutti i vari mestieri (elettricisti, idraulici, meccanici, muratori, imbianchini, fornai, macellai) vengono eseguiti dai detenuti coordinati dagli agenti.
Lavorano spesso insieme “guardie e ladri”, arrangiandosi e mettendo in gioco le proprie esperienze personali per risolvere i problemi più disparati.
Perché se per esempio si rompe un gruppo elettrogeno in Gorgona non c’è corrente, e questa diventa (giustamente) una priorità, non importa se quel giorno c’era da controllare le api o da curare una vacca, non si può stare senza corrente.
E cosi capita che la tettoia per il ricovero degli animali venga lasciata da una parte e passa un anno prima di essere montata, nel frattempo però le vacche hanno passato anni alle intemperie, hanno resistito alle libecciate che spazzano via ogni cosa, a piogge che rendono tutto un grande pantano; eppure oggi le vedo qui al pascolo, sane ed in carne, tranquille e beate, che ruminano o sonnecchiano, sarà questo panorama mozzafiato o questo silenzio cosi raro da trovare, penso fra me e me.
Ma ci sono anche brutte storie da raccontare in Gorgona.
Nel 2004 sotto quel cielo e in quel silenzio si sono consumati due omicidi nel giro di pochi mesi, e tutto è cambiato. La sicurezza è diventa la prima regola, è stato dato un giro di vite e da allora i detenuti devono dormire nelle celle e rientrare alle 17.00 nel dormitorio. Le casette costruite vicino alle stalle, che permettevano ad alcuni detenuti di accudire gli animali con più cura oggi sono abbandonate.
Il legame fra gli animali e i detenuti era più intenso, il lavoro procedeva più “tranquillo” (nel senso gorgonese del termine) e si instauravano legami, sinergie e fiducia tra le persone. Marco infatti è riuscito ad inserire un detenuto, che nulla sapeva di animali prima di entrare in carcere, in una azienda zootecnica in Emilia Romagna.
Alla stalla Marco ci presenta Luciano (nome di fantasia). E’ pugliese Luciano, prima di finire dentro faceva il pastore; racconta di quando faceva la transumanza, ha passato una vita con gli animali. Conosce questi animali meglio di chiunque altro sull’isola: sa dire se una vacca partorirà un maschio o una femmina, sa quanti anni ha un animale solo guardandolo, Luciano conosce tutto quello che c’è da sapere per mandare avanti una stalla.
“Dottò!, Manca un maiale alla conta di oggi!!” dice Luciano.” E’ evaso….” Aggiunge poi con un ghigno sardonico e compiaciuto mentre noi ridiamo alla sua battuta.
E’ un uomo piccolo Luciano, di poche parole, i suoi piccoli occhi neri mi hanno trasmesso inquietudine e rispetto. Non so perché è li Luciano, ma i suoi occhi parlano per lui.
Poi ci sono i due ragazzi sardi, sono del nuorese e naturalmente si occupano delle capre e delle pecore; abbiamo conosciuto anche il macellaio, un ragazzo palermitano che ha meno di 30 anni e quasi la metà gli ha passati in carcere. “Facevo il macellaio anche prima” ci dice con un sorriso che non sta sulla faccia di un detenuto, “ma qui devo fare tutto, ero un ragazzetto quando aiutavo mio padre a lavoro. Ci sono delle cose che devo ancora imparare….ma tempo ne ho quanto ne voglio!!”, scherzando con leggerezza sulla sua ancora lunga detenzione.
Non ero mai stato in un carcere, ma penso che questo sia particolare, che non succeda cosi ovunque: i detenuti mi sorridono e sono espansivi, hanno voglia di chiacchierare, non vedono molte facce nuove.
Ma una prigione io me la immaginavo diversa. In realtà è come dice Marco: “ Uno ci deve venire in Gorgona per capire cos’è, come funziona”; e ha ragione.
Con i suoi 220 Ha, dal punto di vista agronomico alla Gorgona non manca niente: 3 Ha di vigneto con cantina e attrezzature varie; 400 piante di olivo e un frantoio; le api e un laboratorio per la smielatura; galline, capre, pecore, mucche e maiali, le stalle, la macelleria e il caseificio; 5 Ha di superficie in varie parti dell’isola destinate a erbai e pascolo; l’orto di circa 1 Ha; l’allevamento di orate e l’impianto per la fitodepurazione.
Sulla carta ci sono tutti i presupposti perché “l’Agricola” possa diventare un modello di colonia penale da esportare, un bell’esempio di Agricoltura Sociale come in tanti altri carceri italiani avviene, dove i detenuti lavorano (e sono retribuiti per il loro lavoro) e i prodotti del penitenziario vengono proposti e venduti in adeguati mercati.
Però qui non funziona esattamente cosi. La direzione del carcere risponde al Ministero degli Interni e il regolamento impone che i prodotti possano essere venduti solo sull’isola.
Ma nessuno va in Gorgona, pochissimi ci sono stati, nessuno ci vuole andare in Gorgona, perché è un carcere. E solo i detenuti ci vanno.
Il risultato è che le produzioni dell’isola fanno difficoltà a uscire, la vendita al dettaglio è praticamente inesistente (qui non c’è turismo); per vendere la merce in toto è necessario bandire un’asta pubblica con almeno cinque partecipanti e questo meccanismo certo non facilita e non valorizza la commercializzazione dei prodotti.
Ma questi, a mio modesto parere, non sono beni primari comuni, questi sono prodotti provenienti da un luogo unico e incontaminato come la Gorgona appartenente anche al Parco Nazionale Arcipelago Toscano.
I formaggi, l’olio, il vino, gli ortaggi, il miele e la carne prodotti sull’isola potrebbero e dovrebbero godere di una loro tipicità, dovrebbero trovare spazio in mercati sensibili alle questioni sociali, dovrebbero essere riconoscibili grazie ad un marchio o un’etichetta che possa identificarne la provenienza. Questi prodotti dovrebbero essere valorizzati anche e soprattutto per il modo con cui sono stati ottenuti, per il lavoro che c’è dietro.
Questi prodotti potrebbero rappresentare una voce per l’isola, potrebbero essere un biglietto da visita per far capire alle persone che sono sulla terraferma che la Gorgona non è “solo” un carcere; che anche se nessuno se ne accorge, sull’isola c’è un microcosmo che vive e che ha bisogno di farsi sentire.
Mentre torniamo indietro, sulla motovedetta della polizia penitenziaria, mi soffermo un attimo a riflettere: la Gorgona è strana, piena di contraddizioni come la città che gli sta davanti, con i suoi ritmi e il suo isolamento.
Un posto che non ti dimentichi facilmente, come lo sguardo di chi ha commesso un omicidio.
Mi sforzo di immaginare una vita passata li dentro, da “buono” o da “cattivo”, con i giorni che passano tutti uguali uno dopo l’altro, penso a quante storie si potrebbero raccontare su chi vive e ha vissuto in Gorgona; penso alle guardie e ai ladri in quel silenzio assordante.
Li, sull’ isola che non c’è.
Dott. Agronomo Francesco Presti
Il legame fra gli animali e i detenuti era più intenso, il lavoro procedeva più “tranquillo” (nel senso gorgonese del termine) e si instauravano legami, sinergie e fiducia tra le persone. Marco infatti è riuscito ad inserire un detenuto, che nulla sapeva di animali prima di entrare in carcere, in una azienda zootecnica in Emilia Romagna.
Alla stalla Marco ci presenta Luciano (nome di fantasia). E’ pugliese Luciano, prima di finire dentro faceva il pastore; racconta di quando faceva la transumanza, ha passato una vita con gli animali. Conosce questi animali meglio di chiunque altro sull’isola: sa dire se una vacca partorirà un maschio o una femmina, sa quanti anni ha un animale solo guardandolo, Luciano conosce tutto quello che c’è da sapere per mandare avanti una stalla.
“Dottò!, Manca un maiale alla conta di oggi!!” dice Luciano.” E’ evaso….” Aggiunge poi con un ghigno sardonico e compiaciuto mentre noi ridiamo alla sua battuta.
E’ un uomo piccolo Luciano, di poche parole, i suoi piccoli occhi neri mi hanno trasmesso inquietudine e rispetto. Non so perché è li Luciano, ma i suoi occhi parlano per lui.
Poi ci sono i due ragazzi sardi, sono del nuorese e naturalmente si occupano delle capre e delle pecore; abbiamo conosciuto anche il macellaio, un ragazzo palermitano che ha meno di 30 anni e quasi la metà gli ha passati in carcere. “Facevo il macellaio anche prima” ci dice con un sorriso che non sta sulla faccia di un detenuto, “ma qui devo fare tutto, ero un ragazzetto quando aiutavo mio padre a lavoro. Ci sono delle cose che devo ancora imparare….ma tempo ne ho quanto ne voglio!!”, scherzando con leggerezza sulla sua ancora lunga detenzione.
Non ero mai stato in un carcere, ma penso che questo sia particolare, che non succeda cosi ovunque: i detenuti mi sorridono e sono espansivi, hanno voglia di chiacchierare, non vedono molte facce nuove.
Ma una prigione io me la immaginavo diversa. In realtà è come dice Marco: “ Uno ci deve venire in Gorgona per capire cos’è, come funziona”; e ha ragione.
Con i suoi 220 Ha, dal punto di vista agronomico alla Gorgona non manca niente: 3 Ha di vigneto con cantina e attrezzature varie; 400 piante di olivo e un frantoio; le api e un laboratorio per la smielatura; galline, capre, pecore, mucche e maiali, le stalle, la macelleria e il caseificio; 5 Ha di superficie in varie parti dell’isola destinate a erbai e pascolo; l’orto di circa 1 Ha; l’allevamento di orate e l’impianto per la fitodepurazione.
Sulla carta ci sono tutti i presupposti perché “l’Agricola” possa diventare un modello di colonia penale da esportare, un bell’esempio di Agricoltura Sociale come in tanti altri carceri italiani avviene, dove i detenuti lavorano (e sono retribuiti per il loro lavoro) e i prodotti del penitenziario vengono proposti e venduti in adeguati mercati.
Però qui non funziona esattamente cosi. La direzione del carcere risponde al Ministero degli Interni e il regolamento impone che i prodotti possano essere venduti solo sull’isola.
Ma nessuno va in Gorgona, pochissimi ci sono stati, nessuno ci vuole andare in Gorgona, perché è un carcere. E solo i detenuti ci vanno.
Il risultato è che le produzioni dell’isola fanno difficoltà a uscire, la vendita al dettaglio è praticamente inesistente (qui non c’è turismo); per vendere la merce in toto è necessario bandire un’asta pubblica con almeno cinque partecipanti e questo meccanismo certo non facilita e non valorizza la commercializzazione dei prodotti.
Ma questi, a mio modesto parere, non sono beni primari comuni, questi sono prodotti provenienti da un luogo unico e incontaminato come la Gorgona appartenente anche al Parco Nazionale Arcipelago Toscano.
I formaggi, l’olio, il vino, gli ortaggi, il miele e la carne prodotti sull’isola potrebbero e dovrebbero godere di una loro tipicità, dovrebbero trovare spazio in mercati sensibili alle questioni sociali, dovrebbero essere riconoscibili grazie ad un marchio o un’etichetta che possa identificarne la provenienza. Questi prodotti dovrebbero essere valorizzati anche e soprattutto per il modo con cui sono stati ottenuti, per il lavoro che c’è dietro.
Questi prodotti potrebbero rappresentare una voce per l’isola, potrebbero essere un biglietto da visita per far capire alle persone che sono sulla terraferma che la Gorgona non è “solo” un carcere; che anche se nessuno se ne accorge, sull’isola c’è un microcosmo che vive e che ha bisogno di farsi sentire.
Mentre torniamo indietro, sulla motovedetta della polizia penitenziaria, mi soffermo un attimo a riflettere: la Gorgona è strana, piena di contraddizioni come la città che gli sta davanti, con i suoi ritmi e il suo isolamento.
Un posto che non ti dimentichi facilmente, come lo sguardo di chi ha commesso un omicidio.
Mi sforzo di immaginare una vita passata li dentro, da “buono” o da “cattivo”, con i giorni che passano tutti uguali uno dopo l’altro, penso a quante storie si potrebbero raccontare su chi vive e ha vissuto in Gorgona; penso alle guardie e ai ladri in quel silenzio assordante.
Li, sull’ isola che non c’è.
Dott. Agronomo Francesco Presti
3 commenti:
come ho già avuto modo di scrivere a francesco, due cose su tutto e le voglio scrivere subito anche qui: la prima è grazie per aver pensato di condividere con noi la tua esperienza, grazie davvero; la seconda è sul racconto, personalmente lo trovo molto ma molto bello.
Il resto (molti sono gli spunti di riflessione ed anche gli interrogativi "tecnici" che solleva) dopo.
grazie ancora e buon lavoro!
angela
Ciao Francesco,
presa dai preparativi per l'incontro in Belgio, non ero riuscita a ringraziarti per aver condiviso con noi la tue esperienza e le tue riflessioni, tra l'altro comunicate in modo molto coinvolgente! Per ora, un saluto ed un grazie...sperando di leggerti presto in questi lombricheschi luoghi!...anche se, con le olive da raccolgiere,...il tempo dev'essere poco! Buon lavoro e a presto,
Silvia
ciao silvia,
fortunatamente ho quasi finito con le olive e spero di poter dare ancora il mio contributo al blog .
ringrazio tutti voi per quello che fate per l A.S.
un caro saluto
F.
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